Noi la chiamiamo ACACIA, in realtà il suo nome è ROBINIA PSEUDOACACIA. È interessante sapere che al genere “acacia” appartiene anche la mimosa insieme ad altre 1300 piante, di cui circa 960 originarie dell’Australia, quanta strada che ha fatto! E in un tempo in cui gli aerei non esistevano neanche!! E’ stato il Linneo a darle il nome: “Robinia” per ricordare il botanico Jean Robin, farmacista e botanico di Enrico IV re di Francia, che ne portò il seme in Europa dall’America del Nord nel 1601, e lo fece germinare all’Orto Botanico di Parigi. E sempre lui compose il termine “pseudoacacia”, perché simile all’acacia” per la somiglianza delle foglie col genere delle piante comunemente chiamate mimose. Sapete chi era il Linneo? È stato un grande naturalista, e a lui si devono i nomi scientifici di migliaia di piante. Un amico mi riprende sempre perché io fatico ad imparare il nome latino delle piante, mi viene da dire che il motivo della mia riluttanza risieda nel fatto che per secoli, le donne come me che conoscevano il potere delle amiche erbe, sono state messe sul rogo da coloro che conoscevano il latino, però poi penso al buon Libereso, a come lui ha ottenuto il posto da giardiniere a Londra, proprio grazie alla sua conoscenza dei nomi latini delle piante, pur non conoscendo allora l’inglese, e allora faccio pace con questa mia ignoranza e mi riprometto per amor suo di impararlo. Mi manca Libereso, mi manca la sua gentilezza, la luce dei suoi occhi, il sorriso che illuminava il suo viso quando si trattava di parlare delle amiche erbe, ma poi mi immergo nello studio di una pianta e settimanalmente quando riempio questa pagina, so che sono ancora collegata a lui e al suo buon cuore innamorato di Madre Natura e mi sento meno sola, appoggiata da ciò che mi ha lasciato come insegnamento. Andiamo avanti. J . Il nome “acacia” è di origine egizia, dal greco non ho ben compreso se deriva dal termine “akis/ punta aguzza”, o da “akakia/candore e innocenza” riferito ai suoi fiori.
La robinia si è ben naturalizzata in Europa, e in Italia è stata introdotta nell’Orto botanico di Padova nel 1662. Ora è praticamente diffusa ovunque e ad oggi può essere considerata entità integrante della flora italiana. Quando è in fiore, si fa notare molto bene nei parchi, bordo strada, negli incolti o nei boschi, le sue chiome paiono quasi bianche per la grandissima quantità di infiorescenze a grappolo che ingioiellano la pianta, e a ben guardarla mi domando se lei si stimi della sua munificenza. La sua bellezza nel periodo di fioritura si prolunga nel tempo e il piacevole profumo che rilascia nell’aria la rendono una pianta inconfondibile e molto amata e ammirata in questo periodo. E poi chissà.. magari ancora una volta è la gola a guidarci, il ricordo della sua dolcezza che tutti abbiamo assaporato almeno una volta nella vita degustando le frittelle di fiori d’acacia, ce lo fa guardare forse con un occhio “interessato”.
È una specie pioniera che cresce molto velocemente e spesso si comporta in maniera invasiva, non di rado si pone il problema del controllo della sua diffusione. Però le sue radici sono in simbiosi con alcuni microrganismi azotofissatori e insieme arricchiscono il suolo di azoto, una ricchezza! Le Acacia preferiscono terreno asciutto e ben drenato non calcareo, al riparo dai venti freddi in pieno sole e spesso le possiamo vedere affiancate dai sambuchi e dai tigli, i tre grandi alberi a fioritura bianca/panna. A volte mi capita di incontrarne esemplari che sfoggiano piccoli grappoli di fiori rosa-fucsia e ciò mi rallegra, mi porta a pensare alla storia della mosca bianca, a come in noi sia sempre pronta a scattare la molla che ci notare la diversità, l’eccezione, a desiderarla o ad averne paura..
Mi piace pensare a questo albero come ad un “ragazzone” che può arrivare ad essere alto fino a 25 metri e in questi giorni per la sua grandissima attività riproduttiva di fiori bianchi riuniti in grappoli pendenti dal profumo molto persistente e gradevole, pare indossare il vestito bianco, lindo e profumato della festa. Passato il tempo della fioritura si trasformerà, perché essendo una leguminosa produrrà poi degli scuri baccelli pendenti che metteranno in risalto le lunghe e numerose spine che ricoprono i suoi giovani rami. Che cambiamento! Pur essendo considerata un’infestante viene amata da uomini, insetti e animali per la sua meravigliosa abbondante e profumata fioritura primaverile. La forma della sua corteccia, le lunghe fenditure che la percorrono ci parlano della sua ottima resistenza alle condizioni più avverse. E’ un albero forte dal legno resistente: la durezza del suo legno simboleggia forza e durata. Un albero forzuto che però essendo poco longevo si consuma velocemente, ho letto che vive circa 60-70 anni anche se a Parigi si sta preservando un esemplare, un po’ malandato, che mira a compiere 400 anni. Pianta forte e delicata al tempo stesso, con una particolarità curiosa rappresentata dalle sue foglioline che sono aperte di giorno mentre di notte tendono a chiudersi e a sovrapporsi.
Si racconta che essendo una pianta vigorosa e gentile, sia diventata simbolo di immortalità e purezza; data la sua cospicua fioritura, nel tempo ha acquisito anche un significato di innocenza e di amore platonico e la speranza che l’amore sia ricambiato. Che meraviglia il linguaggio dei fiori! Ci insegna a dialogar con Madre Natura. Ho scoperto invece che la sua parente, la gialla profumatissima mimosa, simboleggia il pudore.
I fiori di acacia sono molto decorativi ed emanano un profumo gradevole con il quale attirano gli insetti impollinatori. Da questa generosissima fioritura le amiche api producono il preziosissimo miele di acacia che forse è tra i mieli più conosciuti ed apprezzati. Purtroppo per soddisfare le ingenti richieste ogni anno l’Italia deve importarne grandi quantitativi dall’Europa orientale e dalla Cina. Io vi consiglio di acquistare il miele solo quando conoscete chi lo produce, il miele è molto delicato e prezioso! Quello di acacia è un miele dal colore chiaro che rimane liquido, il suo odore è leggero e il suo sapore è delicato, possiede un’ acidità bassissima, ma però ha un basso contenuto di sali minerali e di enzimi.
Inutile dire che i fiori di acacia sono commestibili, per lo più vengono infatti consumati fritti, io li unisco alle insalate e adoro mangiarli a grugno mentre sono in passeggiata staccandoli direttamente dagl’alberi. Sono golosissimi, profumatissimi, croccanti, irresistibili, belli e sensuali. Una cautela: i fusticini e le foglie di acacia sono tossici per l’uomo, non lasciamoci ingannare dal fatto che alcuni animali se ne cibano, vedi le capre che ne sono ghiotte e ne consumano in grandi quantità senza alcuna conseguenza negativa. Non sempre ciò che gli animali mangiano per noi può andare bene. Non è che tutto quello che incontriamo in natura si debba per forza mangiare!! Ho seguito in questi giorni una lezione di un professore universitario nel giardino botanico di Bologna, e diceva che le piante si sono evolute tenendo conto dei predatori e il predatore più temuto spesso siamo noi, anche se a volte rappresentiamo colui che le sfama e le cura.
Le frittelle di fiori di acacia, come quelle di sambuco, sono buonissime, io le mangio una volta all’anno e devo dire che hanno un profumo meravigliosamente dolce, quasi soave e un sapore particolarmente squisito. Ecco qui una ricetta facile, facile. FRITTELLE DI FIORI DI ACACIA: raccogliete alcuni grappoli di fiori di robinia assicurandovi che siano puliti da insetti vari, passateli in una pastella liscia e non troppo densa, che si attacchi bene ai fiori, a base di acqua frizzante fredda o birra mischiata alla farina, un cucchiaino di zucchero di canna, un pizzico di sale e un poco di cremor tartaro. Il fusticino che tiene insieme i fiori servirà ad immergerli nella pastella in sicurezza e con facilità, ma ricordatevi che non è commestibile, quindi decidete se volete lasciarlo in frittura dove fungerà da bacchetto tipo spiedino, o se preferite sgranare i fiori e friggerli impastellandoli a manciate. Friggete le vostre frittelle floreali in un buon olio di girasole bio bollente che avrete messo a scaldare per tempo, facendo attenzione di non farle dorare troppo. Man mano scolatele aiutandovi con una mandolina da frittura e mettetele su un foglio di carta paglia. Occhio che bruciano!! Queste frittelle vanno mangiate tiepide, potete dolcificarle con zucchero o miele, o al naturale se volete gustarne tutta la dolcezza. Slurp!!
Sperimentate sempre e abbiate cura di voi che siete l’ingrediente fondamentale della grande ricetta che è la Vita! Vi abbraccio forte, Beatrice Calia, l’Erbana.
Articolo scritto per Rock&Food