La Cicoria sia selvatica che coltivata è di una bontà da leccarsi i baffi, io la adoro.
La cicoria selvatica è una delle erbe di campo più conosciuta e raccolta. Cresce sul ciglio delle strade, nelle zone rurali, vicino ai muretti, nei terreni incolti e la si può anche coltivare nell’orto. Il genere selvatico ha dato origine a molte varietà orticole: le scarole, le indivie e le cicorie arricciate, i radicchi rossi, la catalogna e il pan di zucchero.
Quando si comincia ad andar per erbe è molto facile confondere le foglie della cicoria con altre foglie del gruppo dei cosiddetti “radicchi di campo” in primis col tarassaco. Un modo per riconoscerla è notare le venature rossastre nelle sue foglie robuste e ruvide, leggermente pelose e dentate riunite una rosetta basale, foglie lanceolate, ovvero che terminano a punta di freccia. Ha sempre riscosso un grande successo, al punto che quando si diceva “vado a far radicchi” si raccoglievano essenzialmente cicoriette. Nel 1300 il botanico tedesco Conrad di Megenberg la chiamò “sponsa solis”, sposa del sole, per via dei suoi bellissimi fiori color indaco che si aprono e si chiudono al muoversi del sole. Ai bordi delle strade, da giugno ad ottobre, le sue magnifiche fioriture celesti acchetano il cuore e rallegrano l’anima, da mattino a sera. Prestatevi attenzione, non ve ne pentirete, emanano un’aura di rara bellezza!
La raccolta delle foglie ad uso alimentare avviene tra marzo e novembre con una pausa estiva durante il momento della fioritura. Si raccolgono le foglie basali con un coltellino da erbe, si afferra il cespo di foglie e si taglia al colletto tirando su l’intera rosetta. Come tutte le selvatiche, la pulizia dal grosso si fa in campo, in modo che una volta arrivati a casa basterà lavarle e prepararle velocemente e senza sporcare. Mi sento di farvi una raccomandazione, quando andate a erbe, non estirpate mai la pianta se non intendete far uso della radice, sarà così possibile goderne anche l’anno prossimo, e le avrete portato rispetto.
La cicoria è stata molto conosciuta e rinomata nella storia. Gli egizi ritenevano fosse una pianta sacra, una panacea contro tutti i mali. Se ne trova citazione anche nel Papiro di Ebers (circa 1550 a.C.). Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale”, ne decanta le virtù nevralgiche, diuretiche e stomachiche, la consigliava come rinfrescante. Galeno la definiva amica del fegato. Discoride la prescriveva per fortificare lo stomaco. I medici greci e latini la prescrivevano per la sua azione disintossicante e curavano con essa molte malattie dell’addome. I Romani, durante i pranzi luculliani, insieme con uova di tordi, beccafichi e pavoni, si facevano porgere piatti di cicoria e di malva. Apicio la chiamava intuba e la preparava condendola con miele.
Nelle credenze popolari germaniche era considerata una pianta magica, attraverso la quale si poteva provare il piacere dell’amore, spezzare incantesimi, diventare invisibili e invulnerabili. Occorreva però dissotterrare la radice nel giorno di San Pietro e Paolo, avvalendosi di un pezzo d’oro e delle corna di un cervo. E’ solo nel medioevo che, a causa della mancanza di cibo, si iniziò ad apprezzare la cicoria anche come cibo. Poi, negli anni trenta uno studio mise in evidenza le proprietà ipoglicemizzanti della pianta perché contiene inulina.
Inoltre, ho trovato due versioni contrastanti che fanno riferimento alle sue proprietà sensuali, una dice che in epoca medievale si utilizzava la cicoria selvatica come rimedio anafrodisiaco per sedare i bollenti spiriti, al tempo stesso, una credenza popolare dice che essendo lei un vasodilatatore naturale sarebbe in grado di risvegliare l’eros aumentando l’afflusso di sangue agli organi sessuali maschili. Chissà..
La natura è saggia e puntuale, e la cicoria cresce proprio a gennaio, quindi utile dopo gli eccessi a tavola del Natale. È una verdura dalle foglie verdi e vi consiglio di farne un largo uso, eppoi è golosissima. La presenza di ferro e clorofilla la rendono un ottimo antianemico. Però, non a tutti piacciono le cicoriette perchè hanno un sapore amarognolo, dovuto alla presenza di sostanze alcaloidi, ma mangiare regolarmente cicoria selvatica aiuta la salute dei reni, la bellezza dei capelli, il buon funzionamento dell’intestino e del cuore. Però, in caso di ulcera peptica e gastrite, è meglio evitarne l’assunzione.
Dalla cicoria viene estratto anche un Fiore di Bach, Chicory che viene consigliato a chi deve avere sempre il controllo della situazione, l’ ossessivo e possessivo che deve sempre criticare ed esigere.
In cucina la si può consumare cruda, cotta e può essere assunta sotto forma di infuso, decotto, tintura o anche caffè. Napoleone nel 1806 vietò ogni importazione di prodotti provenienti dall’Inghilterra e dalle sue colonie, nacque il caffè di cicoria noto anche come “Caffè di Prussia”, la radice tostata della cicoria usata come surrogato del caffè dalle proprietà salutari e dal colore molto scuro. I nostri nonni se la ricordano bene perché quella si usava quando non c’era altro. Dopo la soppressione del blocco, la pianta cadde nuovamente nel dimenticatoio, ma durante le due Guerre Mondiali tornò drammaticamente di moda per via della scarsità di molti generi alimentari. Oggi il succedaneo è molto costoso, ma accessibile, lo si ritiene un ottimo sostituto del caffè perché non sovraccarica il sistema nervoso.
La cicoria selvatica è un ingrediente tipico della cucina povera del sud d’Italia, è stata spesso etichettata come simbolo di povertà negli ultimi secoli. Dal dopo guerra è stata allontanata dalle tavole e si è persa la pratica di raccoglierla, ma ora si sta riscattando perché torniamo a conoscerla e amarla.
È ottima mangiata cruda in misticanza col tarassaco e con altre erbe di campo. Vi consiglio di provarla col purè di fave, io adoro anche pane e cicoria stufata, la Maria De Biase ne ha fatto una merenda da servire ai bimbi a scuola in alternativa del pane e olio che ha sostituito l’uso delle merendine, ma questa è un’altra storia.
La cicoria scottata e ripassata in padella con un filo d’olio e uno spicchio d’aglio è un’ ottimo accompagnamento in un secondo piatto, può essere la preparazione base per il ripieno di torte salate, o potreste usarla nelle minestre o nei risotti, mescolando il suo sapore amarognolo con altre erbe dal sapore più dolce. Anche la radice di cicoria può essere usata lessata e poi condita olio e limone.
Ecco qui una mia ricetta appetitosa con le cicoriette selvatiche.
Pasqualina cicorina:
Questa ricetta si prepara in due tempi. Cominciamo dalla base: in una ciotola capiente impastare con la punta delle dita 300 gr di semola di grano duro con 150 gr di olio Evo. Impastare finché otterrete tanti gnocchetti sbriciolosi e l’olio sarà del tutto assorbito dalla farina. Aggiungete poco alla volta 80/100 grammi di acqua tiepida, un pizzico di sale e uno di bicarbonato, e continuate ad impastare, se volete potete spostarvi sulla spianatoia per poter ora lavorare di polso e a lungo, fino a ottenere un impasto compatto, ma abbastanza morbido.
Avvolgete la vostra “palla di pasta” in un foglio di pellicola trasparente e conservate in frigo per circa 30’.
Nel frattempo, preparate il ripieno: sbollentate e scolate la cicoria, poi fatela saltare in padella con olio evo, uno spicchio d’aglio, qualche pomodorino fresco o secco, e un pizzico di peperoncino. Et voilà la cicoria ripassata in padella, golosissima da adoperare come contorno o per accompagnare un purè di fave alla pugliese.
Stendete la pasta e rivestitene una teglia. Versate il ripieno sulla sfoglia e spolverate con un gratè, pan grattato unito a un trito di aglio e prezzemolo con sale e olio evo.
Cuocete in forno a 180° per 30’ e gnammy!
Bene, siam giunti alla fine, “stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra che io ho detto la mia!!” Così diceva la mia nonna Tecla, mia maestra d’erbe e di Vita.
Vi abbraccio forte, Beatrice Calia, l’Erbana.
Ps. Se non la conoscete vi consiglio di documentarvi su chi sia la Maria De Biase, conoscerla allieterà la vostra fiducia verso il genere umano.
Articolo scritto per Rock&Food